E’ nel mondo del rugby che Paolo Marta è cresciuto. Benetton, poi Tarvisium (e allora, anni Ottanta, fra i due club cittadini c’era ancora… una cortina di ferro), in Nazionale giovanile la grande soddisfazione di capitanare gli azzurrini nell’impresa tuttora ineguagliata del Fira di Varsavia. Oggi fa l’ingegnere, non si occupa in prima persona di rugby ma a quell’ambiente resta legato come per un istinto naturale, profondo.
E’ capitato a molti. Cosa sia tutto questo, Paolo l’ha raccontato di recente nel blog di Sergio Zorzi. «Ho sempre pensato al rugby come ad un filo che unisce», ha scritto Marta in un post intitolato, significativamente, “Non esistono nemici”, «giocatori, allenatori, dirigenti, accompagnatori, ex di ogni tipo, spettatori, simpatizzanti. Tutti uniti dall’impegno che ti impone. Da regole che non ti lasciano scampo. Impossibile imbrogliarlo. Sia che tu scenda in campo sia che tu ne faccia parte in modo periferico».
«Ti impone poche cose, ma non è disponibile a contrattarle. O ti impegni o sei un “cazzone”. O sei leale o sei disonesto. O sei coraggioso o sei codardo. Le vie di mezzo non esistono. E non puoi esserci solo quando le cose vanno bene: o ci sei sempre o non fai parte del gruppo. E se quel filo ti ha scelto, sarà per sempre. Anche nella vita. Se sei un buon rugbista, nella vita rimani tale».
E proprio dal rugby prese inizio anche il viaggio di Paolo nella scrittura. In un libro intenso e suggestivo, “Ruggers” (Biblos, 1990), le parole di Marta accompagnavano le immagini in bianco e nero di Paolo Benetti e del compagno Gildo Anoja per raccontare in presa diretta la magia di una stagione della Tarvisium, le emozioni di un gruppo, le sue raffinate dinamiche fra il campo e lo spogliatoio. Dal volume sono tratte le due foto in questa pagina.
Approdato nelle librerie da pochi giorni, “Cartacaramella. Il buon fare” (Edizioni LT, pagg. 80, 10 euro, proventi a favore del progetto Village Pilote) è invece una favola postmoderna e allo stesso tempo un mash-up di favole della tradizione, in cui non mancano gli ingredienti del genere: una maga, un incantesimo, un bambino che, compresa la morale, sarà protagonista del cambiamento che lo condurrà alla pienezza della maturità.
Fiabe al contrario, però, in cui il carnefice è vittima, lo sconfitto è vincitore, la cicala insegna i piaceri della vita a formiche workaholic come certi veneti.
Cartacaramella, il bambino, si confronterà così con le sfide educative, con la tentazione della pigrizia e dell’inerzia che si presenta con le fattezze degli strumenti tecnologici di oggi.
Un richiamo all’impegno e alla responsabilità, verso se stessi e gli altri. «Il libro è semplice, lo definisco un uovo di Colombo culturale, ma spero possa servire a trasmettere il messaggio che contiene e a far riflettere anche gli adulti», spiega Marta.
Il rugby? C’entra, e non solo perché ad accompagnare l’autore nella nuova avventura c’è gente di questo mondo come l’azzurro Alessandro Zanni, che firma una delle prefazioni.
«Penso che il rugby sia l’ambasciatore perfetto del “buon fare” perchè scendere in campo ti richiede sempre di dare il massimo: non ci sono amichevoli o partite così tanto per giocare, non puoi fare melina», sottolinea Paolo Marta, che di recente ha collaborato al progetto MiMuovo a Treviso per favorire il movimento spontaneo dei cittadini, «gli avversari possono essere più forti e più pesanti, ti resta comunque il dovere di metterci tutto te stesso. L’essenza del nostro sport è la partecipazione. In questo senso, il rugby insegna ad affrontare gli ostacoli in modo diretto, senza scorciatoie».
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