Chi farà crescere gli azzurri di domani? Secondo la Federugby la risposta è nel sistema di formazione centralizzato, sul quale di conseguenza è stato compiuto un cospicuo investimento di risorse umane e materiali. Un progetto di cui ha parlato in questo blog il trevigiano “Titta” Casagrande, responsabile Fir della didattica. Ma nel movimento continua ad essere vivace il dibattito su Centri di Formazione e Accademie e sulla loro effettiva efficacia.
Secondo Marzio Innocenti, ex capitano azzurro e presidente del Comitato Veneto, la strada imboccata dalla Federazione non è quella che conduce verso gli standard internazionali nei quali il rugby italiano è oggi chiamato a competere. E il sistema CdF-Accademie risulta inadeguato nella regione leader della nostra palla ovale.
«L’idea di fondo è che la Fir sia l’unica titolata a far crescere i giovani, riducendo i club a semplici reclutatori», spiega, «è una visione che trovo inaccettabile. In primo luogo perché rientra in un chiaro disegno volto ad esautorare le società delle loro prerogative e delle loro ambizioni di crescita, mentre sono convinto che le società debbano essere al centro di ogni progettazione federale. In secondo luogo, perché si tratta di un modo per non affrontare il vero nodo di tutto il nostro rugby, che è la mancanza di allenatori qualificati».
TdR. Come si risolve questo problema, a suo parere?
«Per ottenere risultati effettivi e duraturi, la Fir dovrebbe formare non tanto i giocatori ma i tecnici. Si tratta di quel “formare i formatori” che in realtà non è mai stato fatto seriamente: una colpa del nostro rugby. Chiaramente un lavoro lungo e difficile, ma che è indispensabile intraprendere. Il movimento avrebbe bisogno ora di cento allenatori competenti distribuiti fra i club, dopo essere stati formati dalla Federazione attraverso i migliori tecnici stranieri, attraverso “maestri” del gioco. I ragazzi crescerebbero nelle società senza gli scompensi ai quali assistiamo, mentre ha senso un’Accademia a livello under 20 per riunire i migliori a conclusione del percorso nelle squadre giovanili».
TdR. Gran parte dei migliori allenatori italiani, in ogni caso, sono attualmente alle dipendenze della Fir.
«Alla luce di quanto vedo, i tecnici che lavorano nei club ed i tecnici federali che si occupano di Centri di Formazione e Accademie sono allo stesso livello».
TdR. Torniamo alle società. Il tessuto dei club italiani non è certo al livello di quello francese o inglese. Esiste anzitutto un problema di budget, aggravatosi con la crisi.
«Al movimento le risorse non mancano. Il sistema delle Accademie assorbe 5,4 milioni a stagione, che la Fir potrebbe utilizzare per sostenere le società nel lavoro di reclutamento e formazione, per farle crescere. Non parlo di finanziamenti a pioggia, ma di contributi mirati ai settori giovanili e vincolati da un rigoroso controllo da parte dell’ente erogatore».
TdR. L’obiezione di chi sostiene le Accademie è che i club italiani non siano strutturati al punto da poter formare atleti secondo quanto richiesto dall’attuale rugby professionistico. Nelle Accademie i ragazzi sono seguiti a tempo pieno, quindi lavorerebbero di più e meglio.
«Posso citare numerose società che in Veneto svolgono un’ottima attività con i giovani: Villorba, Tarvisium, Petrarca, Vicenza, Cus Verona, Valpolicella, Mirano, Bassano, VeneziaMestre, Valsugana, Belluno, San Donà, Mogliano. Sono club che hanno tecnici all’altezza, strutture che supportano la crescita degli atleti, che non ultimo hanno buone capacità di reclutare sul territorio, visto che anche i numeri sono importanti per poter svolgere un lavoro di qualità. Invece di privare le società dei migliori giocatori, la Fir dovrebbe sostenere le società affinché i loro ragazzi lavorino di più e meglio. E sottolineo: tutti i loro ragazzi. Perché l’esito di questa selezione precoce è di levare stimoli a coloro che non sono stati prescelti per le Accademie».
TdR. Ma i giocatori rimangono del club e vi fanno ritorno nel fine settimana.
«Non sempre i giocatori rimangono del club. Andate a chiederlo al Vicenza, che ha perso tre suoi giocatori perché, frequentando l’Accademia a Rovigo, hanno deciso di tesserarsi per una squadra dei dintorni. In ogni caso, quando rientrano in società questi ragazzi hanno aspettative particolari. Si creano degli evidenti scompensi. Ripeto, trovo assolutamente deleteria questa divisione fra “eletti” e “scartati”. E sono uno di quelli che crede ancora, fermamente, nel senso di appartenenza. Fermo restando che ad una decina di anni dalla sua istituzione, l’Accademia non ha ancora prodotto un vero fuoriclasse».
TdR. Lei fa riferimento alle società del Veneto, dove tuttavia il rugby ha una dimensione diversa rispetto al resto d’Italia.
«Ho da sempre sostenuto che le Accademie possano svolgere una funzione importante nelle regioni in cui le società sono più piccole e meno numerose. In questo caso riunire i migliori giocatori per farli allenare insieme ha un significato. In Veneto, invece, il sistema dei Centri di Formazione e delle Accademie finora ha portato solamente problemi. E non possiamo certo permetterci di disperdere atleti. Da qui il lavoro che stiamo svolgendo con le selezioni del Comitato per coinvolgere i ragazzi esclusi dal percorso delle Accademie, per ridare loro le giuste motivazioni».
TdR. Le sue opinioni si confermano in netta opposizione rispetto alla linea della Fir nazionale. Ci sarà una candidatura alternativa alle prossime elezioni, mentre il presidente Alfredo Gavazzi ha già annunciato che correrà per il rinnovo del mandato?
«Sì, una candidatura alternativa ci sarà senz’altro. Il candidato presidente verrà scelto a tempo debito ed a farlo sarà quel gruppo di dirigenti che sta ora prendendo forma. Il nome non è così rilevante: l’istanza che portiamo avanti non riguarda le persone, ma le idee per il rugby che vogliamo».
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