Citius, altius, fortius. Quello di oggi è un rugby di atleti sempre più veloci, più alti, più forti, e anche più pesanti e aggressivi. “Rugby rambo” l’ha chiamato, con una felice definizione, Toni Liviero, fermo restando che il gioco aveva nei suoi cromosomi uno sviluppo di questo tipo: il fisico e i chili sono sempre stati importanti.
L’approdo al professionismo ha accelerato un’evoluzione della specie che i cugini del league hanno metabolizzato da tempo, ma al contempo il mondo del rugby non può più evitare di farsi – seriamente e responsabilmente – delle domande.
Cioè quelle domande che ha osato mettere sul tavolo un ex Nazionale francese, Laurent Bénézech, in un libro-denuncia pubblicato lo scorso novembre. Oltralpe altri hanno seguito la strada aperta da Bénézech nei mesi seguenti, anche con intento sensazionalista, ma di fatto in “Rugby, où sont tes valeurs?” (Éditions de La Martinière) la questione è già posta in modo efficace e compiuto.
Soprattutto, la domanda viene da un ex atleta ed è rivolta agli atleti di oggi, riguardando la loro salute anche in una prospettiva di lungo termine. Il rischio di infortuni gravi in attività, su tutti la famigerata concussion, la commozione cerebrale, non è che uno dei sottoprodotti del rugby rambo, seppure il più allarmante.
Bénézech in sostanza si chiede: qual è il prezzo da pagare per ottenere prestazioni fisiche come quelle necessarie nella palla ovale attuale? Quali pericoli corrono i giocatori per la loro salute futura, a fronte di gloria e denari regalati da una spesso effimera carriera professionistica?
Come sia tutto cambiato, in termini di performance, Bénézech lo spiega bene con qualche semplice statistica. In otto stagioni, dal 2005 al 2014, nel campionato francese il peso medio di una seconda-terza linea è passato da 105 a 115,25 chili; tutto questo mentre il tempo di gioco è cresciuto a tal punto che ai prossimi Mondiali si prospettano match con 50 minuti effettivi (erano appena 20 nel 1995).
Alla metamorfosi fisica si è giunti certo con l’impegno full time del professionismo e con il perfezionamento dei metodi di allenamento.
Ma una certa macroscopica evoluzione – con segnali quale l’aumento di peso di una decina di chili nel giro di una sola stagione – non si può spiegare che con l’uso di farmaci complementari all’attività in palestra e sul campo.
“Soprattutto, non cadiamo nella trappola tesa dagli stessi sportivi, che pretendono opporre allenamento e assunzione di prodotti, quando non è che la combinazione delle due cose a garantire l’esplosione della performance”, scrive Bénézech.
Esempio di sostanze che potrebbero favorire la performance e di cui si potrebbe sospettare l’utilizzo nel rugby? Gli anabolizzanti servono a fabbricare massa muscolare; l’ormone della crescita aumenta, oltre alle masse muscolari, la resistenza alla fatica; i corticoidi (o corticosteroidi) ed altri stimolanti per la resistenza alla fatica e al dolore permettono di far crescere i carichi di lavoro; la manipolazione sanguinea e l’Epo facilitano le capacità aerobiche; i diuretici permettono di perdere peso e hanno effetto mascherante rispetto ad altre sostanze. Senza dimenticare tutti i tipi di narcotici, sia a base di morfina per la resistenza al dolore che di cocaina per ottenere un effetto stimolante.
Il punto di partenza di Bénézech è la sua stessa esperienza, ritenendo di avere assunto a sua insaputa del cortisone durante la preparazione alla World Cup del 1995.
Il francese ha il merito di non voler parlare di doping, termine che nella sua complessità risulterebbe fuorviante rispetto all’autentico obiettivo della denuncia, che rimane la salute degli atleti.
La definizione coniata da Bénézech è quella di “accompagnement médicalisé de la performance“. I suoi possibili esiti vanno dall’elevato rischio di cancro e di problemi cardiaci, anche in giovane età, fino ad un precoce invecchiamento (nella NFL americana una carriera dura di media 3,9 stagioni e l’aspettativa di vita degli ex giocatori è di soli 55-60 anni…).
“Quando parlo di accompagnamento medicalizzato della performance, comprendo uno spettro che è molto largo, che parte dagli integratori alimentari, dalle proteine e da altri prodotti noti, e che giunge fino all’armamento pesante come l’EPO. L’approccio psicologico è lo stesso, è la pericolosità che fa la differenza”.
I controlli sono insufficienti. Resta comunque un dato di fatto che, secondo i test effettuati dalla World Anti Doping Agency, nel 2013 il rugby è risultato lo sport di squadra con il più alto tasso di positività (1,3%), precedendo peraltro atletica e ciclismo (link al report ufficiale WADA).
“Perché ho preso la parola? Semplicemente perché è evidente che esiste un problema e che pertanto è necessario parlarne. Un problema generale di salute che tocca principalmente il mondo professionistico ma che rischia di diffondersi banalizzando il culto dell’uomo forte a tutti i costi. La capacità di generare profitti sempre più importanti esonera questo sport da qualsiasi questione morale?”
Touché. La palla ovale francese si sente ferita. Arrivando da un membro della confraternita (Bénézech ha giocato ad altissimo livello negli anni Novanta), la denuncia non può essere ignorata. Il libro è anche la storia – interessante e istruttiva – della reazione del mondo del rugby all’accusa di “trovarsi nella condizione del ciclismo alla vigilia dell’affare Festina”, titolo dell’intervista a Le Monde con cui Bénézech sollevò il dibattito.
Reazione poco trasparente, mentre gli strumenti di contrasto messi in atto (il cosiddetto suivi longitudinal, monitoraggio sulla base di analisi periodiche) si rivelano inadeguati.
Se poi controllore e controllato condividono gli stessi interessi…
“Il messaggio subliminale che il mondo del rugby invia attraverso le sue numerose reazioni è: lasciateci tranquilli, siamo adulti e sappiamo bene ciò che facciamo. No, io credo che non lo sappiano”.
Quello di Anthony Martrette - ex giocatore alle prese con depressione e dipendenza da farmaci – è forse un caso limite, ma in quanto tale non può essere ignorato.
Bénézech ha ricevuto diverse querele per diffamazione, ma il tribunale gli ha dato sempre ragione. Non così per altri protagonisti del rugby francese di oggi, come il preparatore atletico Alain Camborde, condannato nel luglio 2013 per esercizio illegale della professione di farmacista ed importazione e detenzione di sostanze dopanti. A lungo Camborde era stato ritenuto uno dei “maghi” della performance (grazie ad integratori a base di ormoni tiroidei), vicino al Pau ma preparatore personale di diversi atleti di vertice, fra i quali il nostro Andrea Masi.
“Non posso più mettermi di fronte alla televisione per divertirmi guardando una partita di rugby dopo che quello che è stato il mio sport viene ora cannibalizzato da questa costruzione di fisici fuori norma che appare sempre più evidente”, chiude Bénézech.
Quanto ci sia di vero nella sua denuncia non si può sapere con certezza. Di certo, però, la legge del silenzio non serve a nulla e nessuno. Un libro da leggere.
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